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150 ATTO SECONDO

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SCENA VI.

Meneghina, poi Zanetta.

Meneghina. Me despiase un pochetto lassar la mia parona,

Ma a far sempre sta vita sarave una minchiona.
Do ducati de più all’anno i me darà,
E almanco poderò magnar quel che me fa.
Delle mettimassere me recordo el conseggio:
Anca qua ghe starò, fin che troverò meggio.
Zanetta. Xestu qua, Meneghina?
Meneghina.   El brodo me lo dastu?
L’ha dito la lustrissima.
Zanetta.   No ghe ne xe. No sastu?
Le fa le generose, quando no ghe n’è più;
E po le trà la colpa tutta sora de nu.
Meneghina. Me despiase dasseno per quella poverazza.
Che ancuo[1] no la gh’ha gnente, e anca per mi, gramazza.
Zanetta. Vustu vegnir con mi?
Meneghina.   Dove?
Zanetta.   In maschera, a spasso.
Ho abuo la mia zornada, e faremo del chiasso.
Meneghina. Vegnirave mi...
Zanetta.   Via; se ti vuol, mi te aspetto.
Meneghina. Come oggio da vegnir?
Zanetta.   Mettite un ninzioletto[2].
No, faremo cussì, mi te inmaschererò.
Della parona un abito, se ti vien, te darò,
E ti parerà bon[3].
Meneghina.   Ma no gh’ho la moretta[4].
Zanetta. Comprete un volto.
Meneghina. Come, se no gh’ho una gazetta?[5]

  1. Oggi.
  2. Lenzuoletto da maschera.
  3. Starai bene, farai bella figura.
  4. Maschera. «Propriamente quella coperta di velluto nero che sta attaccata alla faccia mediante il tener in bocca un bottoncino ecc.: Boerio.
  5. Antica moneta veneziana, di due soldi. In Toscana crazia. V. Boerio.
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