Questa pagina è stata trascritta, formattata e riletta. |
310 | ATTO TERZO |
[[Categoria:Pagine che usano RigaIntestazione|Goldoni - Opere complete, Venezia 1911, XII.djvu{{padleft:316|3|0]]
Geronimo. Gli avvocati hanno dette le vostre e le mie ragioni. Sentite ora il giudice, che pronuncia la sua sentenza. Ma questo giudice, sapete voi chi egli sia, nipote mio? Consolatevi, egli è l’amore, non è lo sdegno. E buon per voi, signor Ridolfo imprudentissimo, incauto, buon per voi, che associato nel delitto di mio nipote, sarete a parte della sentenza dolcissima che gli destino. Sì, figlio, il mio amore per questa volta vi assolve. Non voglio perdervi, non voglio abbandonarvi per ora. Scuso un primo delitto; ma giurovi sull’onor mio, che punirei severamente il secondo. Ed il castigo che vi preparo, è il più fatale che avvenir vi potesse: è l’abbandono all’arbitrio di voi medesimo, alla tutela d’un miserabile genitore.
Policastro. Come c’entro io? Non so niente io.
Geronimo. Deh, movetevi a compassione di voi medesimo, se conoscete che io non la meriti; se grato non volete essere ad uno zio che vi ama, che vi assiste, che vi benefica, siatelo alla provvidenza del cielo. Non la stancate, figliuolo mio, non l’irritate; che s’ella con voi si sdegna, ahimè! s’ella vi scorge ingrato, leverà a me il piacere che ho di soccorrervi, e malgrado le mie diligenze, sarete un di miserabile; mendicherete quel pane che ora vi sembra amaro, perchè vi vien dato con parsimonia da chi vi ama, da chi vi ama di cuore[1].
Grisologo. Ah signore zio, eccomi a’ vostri piedi a domandarvi perdono.
Ridolfo. Per carità, signore, vi raccomando la mia riputazione.
Policastro. Caro fratello, non ci abbandonate. (piangendo forte)
SCENA XVIII.
La signora Felicita, poi la signora Leonide; e detti.
Felicita. Signore zio, ho sentito tutto; siate benedetto; mi raccomando a voi; se voi non mi maritate, non v’è nessun che ci pensi. (piangendo)
- ↑ Questa ripetizione fu soppressa nelle edd. Guibert-Orgeas, Zatta ecc.