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310 ATTO PRIMO

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Che el se sente a criar[1] aghi e cordoni.

Oh sti putti, sti putti, i è pur baroni;
No se se pol fidar.
Cavaliere. (Sulla loggia, guardando verso la casa di Gasparina.)
Lucietta. Vardelo qua? me vorlo saludar?
Cavaliere. Mi pare, e non mi pare.
Lucietta. Par che el me varda mi.
Cavaliere. (Si cava il cappello e lo tien a mezz’aria, parendogli che sia e non sia Gasparina.)
Lucietta. Patron caro. (lo saluta)
Cavaliere. (Termina di salutarla, e poi con un occhiale l’osserva.)
Lucietta. M’alo visto cussì?
Cavaliere. Vedo che non è quella;
Ma tanto e tanto non mi par men bella.
(torna coll’occhiale)
Lucietta. Se el seguita a vardar co sto bel sesto,
Adessadesso mi ghe volto el cesto[2].
Cavaliere. (La saluta.)
Lucietta. La reverisso in furia;
Maneghi de melon, scorzi d’anguria.
Cavaliere. Non intendo che dica. (la saluta)
Lucietta. Un’altra volta.
Serva sua.
Cavaliere. Mi perdoni.

SCENA VI.

Anzoletto colle scatole da marzer, e detti.

Anzoletto. Aghi de Fiandra, spighetta, cordoni.

(gridando ad uso di tal mestiere)
Lucietta. Anzoletto? (chiamandolo)
Anzoletto. V’ho visto. (minacciandola)
Cavaliere. Signora, se comanda.
Compri, che pago io.

  1. Gridare, strillare.
  2. Il sedere: voce assai comune nelle commedie goldoniane.
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