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370 ATTO QUINTO

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Orsola. E el compare?

Lucietta. El compare xe liogà;
Ma co lo chiameremo, el vegnirà.
Orsola. Sia con bona fortuna,
Fia mia.
Lucietta. Cussì anca vu.
Orsola. Da qua do anni; vero, Gnese?
Gnese. Cossa?
Lucietta. Via, cossa vienstu rossa?
In verità te toccherà un bon putto.
Orsola. Oe, vien da mi, che te conterò tutto. (a Lucielta)
Gnese. Che bisogno ghe xe,
Che fè pettegolezzi? (ad Orsola)
Orsola. Oh che gran casi!
No s’ala da saver? Vienstu, Lucietta?
Lucietta. Sì ben, fina che i dorme. (entra)
Orsola. Via, da brava.

SCENA V.

Orsola, Gnese, poi Lucietta.

Gnese. Sior’Orsola, patrona.

Orsola. Me poderessi dir siora madona.
Gnese. Oh giusto!
Orsola. In verità.
Putta cara, son stufa
De sti to stomeghezzi[1].
Gnese. Se me criè, mi no ve parlo più.
Orsola. Cara fia...
Lucietta. Vegno, vegno. (esce di casa correndo verso la casa di Orsola)
Orsola. Vien de su. (entra)
Lucietta. Altri do anni ghe vorrà per ti.
Oe, quanto pagheravistu
A esser in pe[2] de mi? (a Gnese, ed entra in casa di Orsola)

  1. Smorfie: v. Patriarchi e Boerio.
  2. Esser ne’ piedi di alcuno, in luogo di ecc. V. Patriarchi e Boerio.
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