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34 ATTO PRIMO

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Gasparo. C’è altro da dire?

Lavinia. Ci sarebbe pur troppo. Ma la prudenza mi fa tacere. Parto per non vi dire[1] di peggio; perchè l’onore non vuole ch’io faccia ridere la brigata di me, di voi, e del vostro modo di di vivere e di pensare. Divertitevi colle villane; meritereste ch’io vi amassi come mi amate, e che insegnassi ad un marito indiscreto come si trattano le mogli nobili, le mogli oneste, (parte)

SCENA VI.

Don Gasparo, poi la Menichina e la Libera.

Gasparo. Servitor umilissimo. (dietro a donna Lavinia) Ehi, venite, ragazze, che non c’è nessuno.

Libera. È andata via la signora?

Gasparo. Sì, è partita. Venite pure liberamente. Non abbiate paura.

Libera. Paura di che? Non ho paura di nessuno io.

Menichina. E io? Non ho paura di mia madre; figuratevi se avrò paura di lei.

Gasparo. Lo sapete; quando ella c’è, non vorrebbe che ci veniste voi.

Libera. E io ci voglio venire. Son nata qui; son figlia di un lavoratore di qui; son moglie dell’ortolano; ci sono sempre stata, e ci voglio venire.

Menichina. Quando ci veniva la padrona vecchia, ero sempre qua io, e mi voleva bene. Che cosa è di più questa signora sposa, che non mi vuole?

Gasparo. Lasciamo andare, lasciamo andare. Finalmente sono padrone io. Quando vi chiamo io, veniteci; quando c’è la signora, sfuggitela.

Menichina. Lo so io, per che cosa è in collera meco.

Gasparo. Perchè? che cosa le avete fatto?

Menichina. Un giorno sono andata nella sua camera, ch’ella non c’era. Ho trovato sul tavolino un vasetto con certa pol-

  1. Zatta: dirvi.
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