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226 ATTO TERZO

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Che tu sei! Qua lo scudo.

Panfilo.   Eccolo, prendilo.
Ma ve’, non mi gabbar.
Nutrice.   Il primo e l’unico
Parto di messer Luca vive ed abita
Nella sua propria casa.
Panfilo.   Qui?
Nutrice.   Ciò bastiti.
Panfilo. Fammi spender lo scudo...
Nutrice.   Non si vendono
Mie parole per poco. Altro non dicoti,
Se mi dai cento scudi. Addio, conservati.

SCENA XII.

Panfilo solo.

Nella sua propria casa vive ed abita

Di messer Luca il parto? Ah, par che dicami
Il cuor ch’io sia questa sua prole incognita.
Mi allevò da bambino. Qual suo figlio
Mi amò finora. Mi educò con massime
Più da padrone, che da servo. Ah, sentomi
Una lusinga, una speranza... In collera
Egli è meco: ma se ciò discopresi[1]
S’io son suo figlio, ogni suo bene eredito,
E mi perdona, e mi amerà, non dubito.

Fine dell'Atto Terzo.

  1. Così le edd. Paperini, Gavelli ecc. Nell’ed. Pasquali si legge: Egli è meco: ma poi se ciò ecc., e nell’ed. Zatta: Egli e ora meco: ma se ciò discopresi ecc.
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