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LE MORBINOSE 133

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Marinetta. Mi? no so gnanca scriver.

Ferdinando.   Siete donna ordinaria?
Marinetta. Sior foresto carissimo, sta volta la zavaria[1].
Civil più che nol crede son nata in casa mia,
E sotto de ste maschere no se sa chi ghe sia.
Ferdinando. Dite non saper scrivere.
Marinetta.   Digo de sì e de no,
Co me par e piase[2].
Ferdinando.   Scriveste voi?
Marinetta.   Sior no.
Ferdinando. Eppure io giurerei che vostro è questo scritto.
Marinetta. Zuro sull’onor mio, che mi no ghe l’ho scritto.
Ferdinando. Dite, mi conoscete?
Marinetta.   Lo conosso benissimo.
Ferdinando. E chi son io, signora?
Marinetta.   Un signor gentilissimo.
Ferdinando. Mi vedeste altre volte?
Marinetta.   L’ho visto, e gh’ho parlà.
Ferdinando. Dove? quando?
Marinetta.   Dasseno me l’ho desmentegà.
Ferdinando. Eh signora, lo vedo, volete divertirvi.
Fatemi questa grazia, vi prego di scoprirvi.
Marinetta. Sola no me convien. Amiga, vegnì qua. (a Felice)
(Felice si avanza, e scopre il nastro)
Ferdinando. (Ecco un nastro compagno; che diavolo sarà?)
Felice. Serva, sior Ferdinando.
Ferdinando.   Mi conoscete? Oh bella!
Con questi nastri al petto qual di voi sarà quella?
Felice. Mi son quella siguro.
Marinetta.   Quella son anca mi.
Ferdinando. Ma chi di voi ha scritto questo foglio che è qui?
Felice. Mi no.
Marinetta.   Gnanca mi certo.

  1. Ella vaneggia: vol. XII, 453, n. 6.
  2. Probabilmente il verso, mancante di una sillaba, è da correggersi: Come me par e piase (v. anche Cameroni, l. c.) opp. co me par e me piase.
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