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LE MORBINOSE 139

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Bettina. Maschera, andemo via. (a Lucietta)

Lucrezia.   Vegno; aspettè un pochetto.
Donca no la ghe piase quella dell’aneletto.
Ferdinando. È bella, se vogliamo; ma non saprei amarla.
E poi quella sua madre non posso tollerarla.
Lucietta. Andemo, che xe tardi. (a Bettina)
Ferdinando.   Vonno andar via? perchè?
Non mi fanno l’onore di bevere un caffè.
Lucietta. Grazie, grazie. (Asenazzo). (Andemo a travestirse.
No vôi che el ne cognossa, se el gh’ha idea de chiarirse).
(a Bettina)
Bettina. La diga, sior foresto, ghe piase Marinetta?
Ferdinando. La signora Marina mi piace e mi diletta.
La venero, la stimo, e lusingarmi io voglio,
Ch’ella sinceramente mi parli in questo foglio.
Lucietta. Quel foggio no xe mio; ghel digo e ghel mantegno.
Ste lettere no scrive chi ha un pochetto d’inzegno.
Marina lo ringrazia della so gran bontà,
E in premio la lo manda tre mia[1] de là da stra[2].
(parte)
Ferdinando. Questo cosa vuol dire? (a Bettina)
Bettina.   Vol dir liberamente
Che delle so finezze no ghe pensemo gnente.
Che se Marina el manda tre mia de là da stra,
Lo manderà Bettina sedese mia più in là. (parte)

SCENA VI.

Ferdinando solo.

Maladetta Bettina, Marina, e quante sono!

Tutte a beffar mi vengono sul medesimo tuono?
So pure che per fama le donne Veneziane
Passano per gentili, vaghe, discrete e umane.

  1. Miglia.
  2. Mandare al diavolo. Gioco di parole fra la particella stra e la villa di Strà, sul fiume Brenta: v. vol. II, 600.
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