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178 ATTO QUARTO

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Marinetta.   (Oh che matta!) Voleu sentarve a tola?

(a Bortolo)
Bettina. Vegnì arente de mi.
Bortolo.   Sior Conte, una parola.
(a Ferdinando)
Ferdinando. Dite a me?
Bortolo.   Digo a ela.
Lucrezia.   Conte de quella spessa[1].
Silvestra. Sior sì, sior sì, el xe conte, e mi sarò contessa.
Ferdinando. Io non ho questo titolo, garbato signorino.
Bortolo. Nol xe el Conte Pastizzo?
Ferdinando.   No, il mio bel simoncino[2].
Bortolo. Coss’è sto strapazzar?
Marinetta.   Caro quel bel sestin!
No vedeu che se burla, che el femo per morbin!
V’avemo dà da intender che Betta xe novizza.
Per vèderve un pochetto a ranzignar la schizza[3].
No avè mai sentìo a dir: sior mistro Zamaria[4],
Baratteme etecetera? Vu ve l’avè sorbia.
Volevimo chiarirve, e vu ne sè scampà,
E el povero sior pare l’avè quasi coppà.
Bettina. Vardè che belle burle!
Bortolo.   Xele cosse da far?
Felice. Via, via, beveghe suso; lassevela passar.
Bettina. Senteve qua. (gli fa loco)
Marinetta.   Siè bon. Porteghe una carega[5].
Bortolo. Gh’ho un velen, se savessi...
Lucrezia.   Via, no fe che i ve prega.
Silvestra. Quando le feu ste nozze?
Lucrezia.   Drento de carneval.
Silvestra. E nu, sior Ferdinando?
Ferdinando.   (Oh le farei pur mal!)

  1. «Specie d’epiteto di mal odore»: Cameroni, l. c.
  2. «Stupiduccio»; Cameroni. Simon, scimunito, balordo: Boerio.
  3. «A raggrinzare il naso»: Cameroni.
  4. Vedasi a pag. 137.
  5. Sedia.
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