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376 ATTO PRIMO

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Lelio.   Sì, signor. Vi saluto.

Ottavio. Cos’avete con me, che fate il sostenuto?
Andreetta. Siori, nu semo qua per star allegramente.
Gh’ai qualcossa tra lori?
Ottavio.   Oibò, non abbiam niente.
Lelio è mio buon amico, coltiva un amoretto,
E suo rival mi crede.
Lelio.   Lo vuol far per dispetto.
Ottavio. Non è vero, signori. Credetemi sul sodo,
Che talvolta gli amici far taroccare io godo.
Ma son poi di buon cuore; son sì cortese e umano,
Che per un buon amico farei anche il mezzano.
Lelio. Sì, del vostro buon cuore son certo e persuaso;
Ma farebbe per lui, quando si fosse al caso.
Finor quattro signore ch’eran da me trattate,
Me le ha politamente tutte quattro levate.
Ottavio. Davver mi fa da ridere. Sentite, se mi preme
Che siam fra Lelio ed io due buoni amici insieme.
So che a una certa vedova egli facea la posta;
Sono andato stamane a ritrovarla apposta.
E non ci sono andato con altro sentimento.
Che per parte di Lelio a farle un complimento.
Lelio. Sentite? ei mi beffeggia.
Andreetta.   Cari patroni, a monte.
Felippo. Co se trata de done le tacole[1] xe pronte.
Manco mal, che sta volta done no ghe n’avemo.
Andreetta. Oe, vien una peota[2].
Giacometto.   Chi ghe sarà?
Felippo.   Vardemo.
Ottavio. Sarannno i sonatori.
Giacometto.   Sì, per diana de dia[3].
Sta matina magnemo al son de sinfonia.

  1. Magagne, pecche. V. vocabolari del Patriarchi e del Boerio.
  2. Vol. IV, 305.
  3. Vol. VIII, 156 ecc.
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