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462 ATTO SECONDO

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Conte. Giuseppina, codesti sentimenti

Sono degni di voi; me ne compiaccio,
E non avete favellato ai venti.
Quel che penso di voi, per ora io taccio;
Quando tempo sarà, voi lo saprete.
Le cose mie senza parlare io faccio.
Giuseppina. Lo so, signor, che un cavalier voi siete
Pieno di carità; ne ho mille prove
Di quel tenero amor che per me avete.
Anche oggi, signor, con grazie nuove
Favorita mi vedo, e mi dispiace
Che tal gente indiscreta si ritrova:
E che il maestro un poco troppo audace
Valgasi del mio nome a satollare
Questa, dirò così, turba vorace.
Una cosa direi; ma no, mi pare
La proposizion troppo avanzata.[1]
Conte. Ditela.
Giuseppina.   Ma vi prego a perdonare.
Se qualche cosa avete destinata
Per me, che tanto l’aggradisco e tanto,
Che non lo sappia tutta la brigata.
Se vi par ben, tiratemi in un canto:
Datemi il vostro don celatamente,
Ed io nascosto lo terrò frattanto.
Ma non state a gettare inutilmente
Il danaro in fatture; perdonate
Se vi parlo un po’ troppo arditamente.
Quel che di regalarmi destinate,
Se lo date in danar, lo metto via,
E profitto del ben che voi mi fate;
E se mercè la vostra cortesia
In grado mi trov’io di prender stato,

  1. Nel testo cit.: La proposizione ecc.
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