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ATTO PRIMO.

SCENA V.[1]

Milord Bonfil e suddetti.

Bonfil. Amici, vi riverisco.

Artur. Milord. (in alto di partire)

Bonfil. Dove andate?

Artur. Per un affare.

Bonfil. Fermatevi, non si può sapere?

Cavaliere. Ve lo dirò io dove andiamo. A divertirci con un paio di pistolette.

Bonfil. Sarebbe questa una sfida?

Artur. Sì Milord, lasciateci andare. Spero di poter abbrugiare il cervello ad un pazzo.

Cavaliere. Se i pazzi ardessero, voi sareste in fumo.

Bonfil. Posso saper la causa delle vostre contese?

Artur. La saprete poi; per ora vi prego di dispensarmi.

Cavaliere. Milord Artur non ha coraggio di dirla.

Bonfil. Cavaliere, voi mi mettete in angustia. Non mi tenete occulta la verità.

Cavaliere. Milord Artur è sdegnato meco, perchè l’ho sorpreso da solo a sola in questa camera con vostra moglie.

Bonfil. Milord! (ad Artur, con qualche ammirazione)

Artur. Conoscete lei, conoscete me. (a Bonfil)

Cavaliere. Milord Artur è filosofo; ma non lo crederei nemico dell’umanità. Se avessi moglie, non lo lascierei star seco da solo a sola.

Bonfil. Da solo a sola, Milord? (ad Artur)

Artur. Amico, i vostri sospetti m’insultano molto più delle impertinenze del Cavaliere. Io non merito un simil torto, e non lo merita la virtuosa Pamela. Se a lei darete una simil pena,

  1. Vedasi a pag. 118.
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