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Conte.   Un segno di mia stima

Così male aggradite.
Tonina.   No son bona da prima?
Annina. Se la sgnera Tugnina en n’è cuntenta lì,
La part’ed la seconda al aztarò per mi.
Conte. Sentite? (a Tonino)
Tonina.   Co sior Conte no vôi parer ingrata;
Accetterò la parte, ma però el me l’ha fata.
Conte. Resta per voi la terza, da uomo o pur da donna.
(ad Annina)
Annina. Me ricitar da om? Sgner[1] no lam perdona.
Conte. Bene, se non volete, una ne troverò.
Annina. Per en pareir ustinà, pazienza, al aztarò.
Conte. Eccole accomodate. (ad Alì)
Alì.   Meritar to virtù
Far bassà, far visir.
Conte.   Ma far ci resta il più;
S’ha da trattar del prezzo. Favorisca, signora; (a Lucr.)
Quanto desia di paga?
Lucrezia.   Non ve l’ho detto ancora?
Cinquecento zecchini.
Conte.   Bastano quattrocento.
Lucrezia. No, signor, per tal prezzo cantar non mi contento.
Conte. A voi se questa paga, signora mia, si dà,
Accettate il suo posto senza difficoltà? (a Tonina)
Tonina. Sior sì, l’accetterò.
Conte.   Ben, vi sarà accordato...
Lucrezia. Aspettate, signore, ch’io non l’ho ricusato.
Si cerca il suo interesse, allor che si contratta.
Conte. Bastano i quattrocento?
Lucrezia.   Non li ricuso.
Conte.   È fatta, (ad Alì)
Alì. Ti meritar corona.

  1. L’ed. Antonelli: sgnour.
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