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318 ATTO TERZO

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Servitore. Perdoni. La signora Giacinta è qui poco lontana, che viene per riverirla.

Costanza. (Povera me!) La signora Giacinta! (a Rosina)

Rosina. Cosa volete fare? Convien riceverla. (a Costanza)

Costanza. Sa che sono in casa? (al servitore)

Servitore. Lo saprà certamente. Ha mandato il servitore, e il servitore lo sa.

Costanza. (Ci vuol pazienza, convien riceverla). Dille che è padrona... Senti: dille che compatisca, che sono venuta ora di villa, che ho la casa sossopra. Senti: va alla bottega ad ordinare il caffè. Ehi! senti: se viene a casa[1] mio marito, digli che non mi comparisca dinanzi come sta in bottega, o che si vesta bene, o che si contenti di stare nella sua camera.

Servitore. (Oh! quanta maladetta superbia!) (parte)

Costanza. E voi andate via di qui. Non vi lasciate vedere in quella caricatura. (a Tognino)

Tognino. Certo, mi mandate via perchè non beva il caffè, e io ci voglio stare.

Costanza. Andate, vi dico, che se mi fate muover la bile, vi caccio via di casa come un birbante.

Tognino. Son maritato.

Costanza. Rosina, or ora non posso più.

Rosina. Via, via, caro, andate di là, che il caffè lo porterò io.

Tognino. Son maritato, e son maritato. (parte)

SCENA VII.

Costanza, Rosina, poi Giacinta.

Costanza. Sentite, se continua così, io non lo soffro assolutamente. (a Rosina)

Rosina. Compatitelo, è ancor ragazzo.

  1. Ed. Zatta: a casa.
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