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26 ATTO PRIMO

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Lucietta. Oe, no ghe disè gnente. (a Vicenzo)

Libera. Oe, paron Vicenzo, no ghe stessi miga a contare.

Vicenzo. Che cade[lower-alpha 1]!

Orsetta. No ghe stessi a dire...

Vicenzo. Mo no stè a bacilare[lower-alpha 2]. (parte)

Libera. Via, no femo che i nostri omeni n’abbia da trovarè in baruffa.

Pasqua. Oh, mi presto la me monta, e presto la me passa.

Lucietta. Checca, xestu in collera?

Checca. No ti sa far altro che far despetti.

Orsetta. A monte, a monte. Semio amighe?

Lucietta. No voleu che lo semio?

Orsetta. Dame un baso, Lucietta.

Lucietta. Tiò, vissere. (si badano)

Orsetta. Anca ti, Checca.

Checca. No gh’ho bon stomego[1].

Lucietta. Via, matta.

Checca. Via, che ti xe doppia co fa le ceole[lower-alpha 3].

Lucietta. Mi? Oh, ti me cognossi puoco. Viè qua; dame un baso.

Checca. Tiò[lower-alpha 4]. Varda ben, no me minchionare.

Pasqua. Tiò el to balon, e andemo in cà[lower-alpha 5], che po anderemo in tartana. (piglia lo scagno col cuscino, e parte)

Libera. Putte, andemo anca nu, che li anderemo a incontrare. (parte col suo scagno)

Orsetta. No vedo l’ora de vederlo el mio caro Beppe. (parte col suo scagno)

Lucietta. Bondì, Checca. (prende il suo scagno)

Checca. Bondì. Vòggieme ben. (prende il suo scagno, e parte)

Lucietta. No t’indubitare. (prende il suo scagno, e parte)

  1. Non dubitate.
  2. Non ci pensate.
  3. Doppia come le cipolle, cioè finta.
  4. Prendi.
  5. In casa.
  1. Non ho stomaco abbastanza forte per sofirìrla; mi ripugna.
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