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456 ATTO TERZO

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Riosa. La xe... (forte)

Gasparo. Zitto, no ve fe sentir.

Riosa. La xe in tinello, e ghe xe sior Raimondo e siora Tonina. (anch’ella sottovoce e ridente)

Gasparo. Bon, bon. Xela su le furie?

Riosa. Oh la xe tutta contenta.

Gasparo. Sì? com’èla?

Riosa. No la sa?

Gasparo. Cossa?

Riosa. Ghe xe el foletto in sta casa.

Gasparo. Oh sì, so mi che foletto ch’el xe. Impizzè una luse[1], e andè a verzer[2] el cameron.

Riosa. Oh mi no, sior, che no ghe vago.

Gasparo. Per cossa?

Riosa. Perchè gh’ho paura del foletto.

Gasparo. Eh via, matta.

Riosa. No in verità, che no ghe vago, che no me vôi ispiritar.

Gasparo. Via, via, lasse star. Delle volte la paura pol far dei brutti scherzi. Impizzè quella luse, che anderò mi.

Riosa. Cossa vorlo far a sta ora in quel cameron? (accendendo il lame)

Gasparo. No disè gnente alla patrona che mi ghe sia, nè disè gnente del cameron, nè de sta zente che vederè. (va pian piano alla porta) Amici, vegnì avanti pian pian. (sottovoce alla porta, e si vedono entrare varie persone:[3] alcuni con delle placche[4] e delle chiocche[lower-alpha 1], e delle candele di cera in una cesta, ma che si vedano; altri con degli strumenti, violoni, violini, corni, e qualche maschera ancora) Vegnì con mi. (prende il lume)

Riosa. Coss’è sto negozio? (a Gasparo)

Gasparo. Zitto, no disè gnente a nissun. Dove xe el mio tabarro e la mia bautta? (a Riosa)

  1. Lampadari.
  1. Accendete un lume.
  2. Aprire.
  3. C’è il punto fermo nell’ed. Zatta.
  4. O anche ventole, da attaccare alle pareti per sostenere le candele.
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