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CHI LA FA L'ASPETTA 471

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SCENA XIV.

Lucietta in maschera, col volto sul cappello, e con la bautta mal messa; Riosa e detti.

Riosa. La varda, ghe xe qua sta signora in maschera... (introducendola)

Zanetto. (Corre a prender Lucietta) Le me permetta che abbia l’onor de presentarghe....

Lissandro. La so signora consorte. (a Zanetto, ridendo)

Zanetto. No... (si guarda intorno se vede Cecilia o altri) La massera de Siora Cecilia. (sottovoce. Gasparo e Tonino non possono lasciar di ridere)

Lissandro. Cossa gh’oio dito? (a Gasparo e Tonino)

Riosa. (Siestu maledìa! Varè che sporca? E mi ancora gh’ho fatto tante cerimonie!)

Lucietta. No la ghe xe la patrona? (a Zanetto)

Zanetto. Via, fe el vostro debito, e ringrazieli. (a Lucietta)

Lucietta. Patroni. (fa una riverenza sgarbata) Grazie tanto[1]. No avemio disnà qua stamattina? (a Zanetto)

Zanetto. Certo; no v’arecordè?

Lucietta. Ceneremio anca?

Riosa. (La vegna, lustrissima, la vegna in cusina che ghe faremo una polentina). (si ritira un poco per rispetto dei patroni)

Zanetto. Me permettela? (a Tonino)

Tonina. Via, per un minuetto la se comoda.

Zanetto. Sonadori, sonemelo bello e longo[2] Favorissela? (a Tonina)

Tonina. No dasseno, mi no ballo. Perchè no ballelo co la so maschera?

Zanetto. La gh’ha rason. Son qua; animo[3] un menuetto gaggiardo. (a Lucietta)

Lucietta. Oh mi no, sior...

Zanetto. Anemo, anemo, digo.

Lucietta. Se no ghe ne so.

Tonina. Via, da brava. (a Lucietta)

Lissandro. Feve coraggio. (a Lucietta)

    1. Probabilmente è da leggersi tante.
    2. Zatta: lungo.
    3. Forse è da leggero anemo.
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