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devono in confronto dello stato infelice di mio marito; sì, questa sola idea basta per incoraggirmi a corrervi sul momento. (S'incammina verso l’appartamento di Geronte)

SCENA IX[1].

Costanza, Marta.

Marta. (Correndo) Dov’andate, signora? Il signor Leandro s’abbandona alla disperazione....

Costanza. Ahimè! volo in di lui soccorso. (parte)

SCENA X.

Marta, poi Valerio.

Marta. Quai disordini! qual precipizio! S’ella n’è la cagione, merita bene... Chi vedo! a Valerio che arriva) Che cosa venite a far qui? avete scelto un sinistro momento; la casa di Angelica è nella più grande afflizione.

Valerio. Lo so, ne conosco il motivo, e vengo ad offrire all’amico, al fratello d’Angelica, quanto può bastare per sovvenirlo.

Marta. Quest’offerta è degna di voi.

Valerio. Il signor Geronte è in casa?

Marta. No, il servitore mi ha detto averlo lasciato dal suo notaro.

Valerio. Dal suo notaro?

Marta. Sì, egli ha sempre degli affari. Vorreste voi parlare con esso lui?

Valerio. Cerco parlare con tutti quelli che possono essere utili a Leandro. Io son solo di mia famiglia, posso disporre de’ beni miei. Amo Angelica, m’offrirò di prenderla senza dote, e divider con lei il ben che posseggo[2].

Marta. Non si può manifestare con più nobiltà, con più di generosità l’amore, la stima, che voi nutrite per lei.


  1. Il Goldoni riunisce in questa scena le scene XIV-XV dell’originale francese.
  2. Qui il Goldoni fu più breve nella versione.
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