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58 ATTO SECONDO

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Anselmo. (Uh che sofferenza è la mia!) (da sè) Quando viene il vostro padrone, ditegli che non sia in collera meco, che voglio che siamo buoni amici.

Arlecchino. Sior sì. (ha tutti ì pezzi dì carta in una mano; e tiene la mano aperta.)

Anselmo. Ditegli che so tutto, che mia figlia mi ha confidato ogni cosa, e che se suo zio è contento...

Arlecchino. Vorria pregarla de una grazia.

Anselmo. E di che?

Arlecchino. Che la me disesse, se se pol unir sti pezzi de carta, e lezer una lettera che s’ha strazza...

Anselmo. Eh giuro a Bacco Baccone! (dà colla sua mano sotto la mano di Arlecchino, e tutti i pezzi tornano a cader per terra.) Li calpesta irato, e parte.

SCENA VII.

Arlecchino solo.

Oh vecchio del diavolo! Se poi dar? Tanta fadiga che ho fatto, e tutta la fattura è buttada via. Pazenzia![1] Ecco qua i pezzi de carta calpestai, malmenai: ghe ne xe ancora però qualchedun, che sarave ancora lezibile. Se se podesse rilevar qualcossa, che mettesse in chiaro la bricconeria de Carlotto... Vedemo un poco[2] za che gh’ho un momento de tempo. (raccoglie qualche pezzo di carta)

SCENA VIII.

Camilla ed il suddetto.

Camilla. (Ah! i cavalli sono alla porta; Adecchino or ora se n’anderà. Povera me! Non lo vedrò più. Eccolo; ma che fa? che raccoglie?) (da se)

Arlecchino. Ah Camilla, Camilla! (da sè forte, senza vederla)

Camilla. Signore, mi chiamate? (corre avanti)

  1. Zatta: pazienza.
  2. Pasquali e Zatta hanno qui il punto fermo.
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