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64 ATTO SECONDO

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SCENA ULTIMA.

Roberto, Dorotea, Anselmo, Carlotto, ed i suddetti.

Roberto. La morte del mio povero zio mi rende padron[1] di me stesso, e mi procura l’onore e la felicità di offerirvi la mano ed il cuore. (a Dorotea)

Dorotea. Poichè mio padre il consente, mi abbandono alla più tenera inclinazione.

Anselmo. Ci ho gusto, giuro a Bacco, a Baccone,[2] ci ho gusto.

Arlecchino. Me rallegro col mio patron.

Roberto. Il povero zio è morto. (ad Arlecchino)

Arlecchino. Me despiase infinitamente. Anderemio a Roma?

Roberto. Ci anderemo da qui a qualche giorno, se la signora Dorotea lo permette.

Anselmo. Signor sì, andate a vedere gli affari vostri.

Roberto. E al mio ritorno...

Anselmo. E al vostro ritorno si faranno le nozze.

Camilla. (Povera me! S’egli parte, ho paura che non torni più). (da sè)

Arlecchino. Sior padron. La vorria pregar d’una grazia.

Roberto. Che cosa vuoi?

Arlecchino. Avanti de andar a Roma, me vorria maridar anca mi, se la se contenta.

Roberto. Per me non ho niente in contrario; e con chi vorresti tu maritarti?

Arlecchino. Coll’amiga de Camilla. (guardando Camilla)

Camilla. (Ah furbo, furbo! Mi vengono i sudori freddi). (da sè)

Roberto. E chi è questa amica di Camilla? (ad Arlecchino)

Arlecchino. Domandèghelo a ela.

Roberto. Ebbene: chi è questa giovane? (a Camilla)

Camilla. Signore... Io non so niente. (Non so cosa dire). (da sè)

Roberto. È sua amica, e non la conosce: tu la conoscerai. (ad Arlecchino)

Arlecchino. La cognosso, e non la cognosso. (I) (2)

  1. Zatta: padrone.
  2. Zatta: giuro a bacco baccone.
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