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200 ATTO PRIMO

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Gualtiero.   E quale mai nel core

Mi nasce or che ti stringo al seno mio,
Tenerezza e piacer, figli d’amore?
Oronta. Signor, da tua bontà l’alma sorpresa
Tace, i timidi affetti e i moti interni
Più che il mio labbro, il suo[1] tacer discopre.
Roberto. (Soffri, o misero cor!) (da sè
Corrado.   (Roberto è mesto).
(piano a Gualtiero
Gualtiero. (Mi piace il suo dolor). Vien meco a parte
Di quello scettro e di quegli ostri, o bella,
Che riserbaro al tuo natal le stelle.
Tu pur meco verrai, Roberto amico,
D’alto ceppo real germe ben degno.
Oggi da voi la reggia mia riceva
Ornamento maggior.
Roberto.   Troppo m’onori.
Deh mi lascia partir.
Corrado.   Perchè ricusi
D’un monarca il favor?
Roberto.   Perchè non posso
Senza danno restar.
Corrado.   German, m’intendi.
Gualtiero. Mancan forse al mio regno, onde appagarti,
Peregrine delizie?
Roberto.   Anzi il tuo regno
La delizia maggiore in sè racchiude.
Gualtiero. Resta dunque a goderla.
Roberto.   Ahimè, non posso.
Gualtiero. Perchè mai?
Roberto.   Perchè il ciel vuolmi infelice.
Gualtiero. (Odi l’amante labbro). (piano a Corrado
Corrado.   (Un grand’amore
Non può celarsi). (piano a Gualtiero

  1. Nel testo: e il suo. Lo Zeno dice: Più che il mio labbro, il mio tacer palesa.
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