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214 ATTO SECONDO

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Il terribile amore a darmi morte.

Partirò, tacerò, ma non credea...
Basta, Regina, addio.
Oronta.   Ferma, Roberto.
Che vuoi tu dir? che non credevi?
Roberto.   Oh Dio!
Non so; lascia ch’io parta.
Oronta.   Io ti comando
Non partir, se non parli.
Roberto.   E per star teco
Dunque non parlerò.
Oronta.   No, parla e parti.
Roberto. Non credeva, dicea, nel cor di Oronta
Così l’antica fiamma illanguidita.[1]
Il forte laccio infranto, all’empio fato
Cede l’amor? Quest’è la fè? Spergiura!
Così obliasti il tuo fedel amante?
Io doveva desiar la tua grandezza,
Tu dovevi serbar la tua costanza.
Io feci il mio dover nel consigliarti
A lasciar me per acquistar un trono,
Ed era tuo dover di non lasciarmi
Anco in faccia del trono: io già predissi
Che abbagliato t’avria della corona
Il sublime splendor. Sì, così avvenne.
Piena di regio fasto or più non degni
D’uno sguardo pietoso il tuo Roberto.
Così dir ti volea; ma fra le labbra
Chiuse avea le voci il mio rispetto.
M’imponesti parlar; per ubbidirti,
Regina, il feci, or l’altro cenno adempio. (parie
Oronta. Ah Roberto, Roberto. Anima mia,
Se vedessi nel sen come sta il core
Di quella che crudel cotanto appelli,

  1. Nel testo dello Zatta manca qui il punto e il senso riesce oscuro.
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