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LA GRISELDA | 257 |
[[Categoria:Pagine che usano RigaIntestazione|Goldoni - Opere complete, Venezia 1926, XXIII.djvu{{padleft:259|3|0]]
Sconoscente, spietato: e di più ancora
Per te farei. Ma che d’Otton sia sposa;
Che sia d’altri il mio cor, la fede mia?
Mi perdona,[1] Gualtiero. E questo il dolce,
Il caro ben, che prediletto e solo,
Libero dal tuo impero io m’ho serbato.
Tua vissi, e tua morrò; nè sperar mai
Di vincer per lusinghe, o per minaccie,
Questa dell’alma mia ferma costanza.
Gualtiero. (Lagrime, non uscite!) Omai risolvi:
O d’Ottone esser devi, o pur di morte.
Griselda. Morte, morte, o Signor.[2] Servi, custodi,
Inventatevi pur nuovi tormenti,
Per inasprir la morte mia. La gloria
Chi avrà di voi del primo colpo? Ottone,
S’altro di voi non v’è più fier ministro,
Venga, mi svena, e dal mio core impari
Come serbasi fede al primo amore.
Ah, che per rio destin tutti crudeli
Son per troppa pietà: sposo adorato,
Dalla tua bella mano un colpo chiedo;
Se pur cader per una man sì cara
Non è vita felice, anzi che morte:
Pur sia pena, o sia dono, a te la chiedo.
Fa ch’io vada agli Elisi ombra superba
Con l’onor di tua fede, e che ivi additi
Per mio sommo trofeo le tue ferite.
Opra già di sua man, or del tuo braccio[3],
Pria che d’esser d’Otton, questo m’eleggo
Termine de’ miei dì. Della mia vita
- ↑ Così nella Griselda d’Apostolo Zeno. Nell’ed. Zatta si legge: Ma perdona.
- ↑ Così nella Griselda dello Zeno. Nell’ed. Zatta c’è una semplice virgola.
- ↑ Così il testo. Lo Zeno, dice più semplicemente e chiaramente: “Fa ch’io vada agli Elisi, ombra superba, - Con l’onor di mia fede; e ch’ivi additi - Le tue belle ferite, - Opra già de’ tuoi lumi, or del tuo braccio”.