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480 | ATTO PRIMO |
[[Categoria:Pagine che usano RigaIntestazione|Goldoni - Opere complete, Venezia 1926, XXIII.djvu{{padleft:484|3|0]]
Leonzio. Ite, non più...
Matilde. Non mi tradir, fortuna.
(entra nel suo appartamento
SCENA VI.
Leonzio, poi Ormondo dalla porta comune.
Ella mi sedurria, se il core avessi
Arrendevole troppo, e reso molle
Per troppo amor... Ah no, non sarà mai[2]
Sposa del mio signor. Soffrir non deggio,
Per veder inalzato il sangue mio,
Che si faccia d’un re dubbia la sorte[3].
Tronchisi quest’amor. Non si risparmi,
Quando[4] giovi, un inganno virtuoso.
Ritornerà in se stesso Enrico alfine;
Di lode gli parrà degna mia fede
Allorchè dalle luci ottenebrate
Ragion gli tolga il velo... Viene Ormondo[5];
La sua fede mi giovi in sì grand’uopo.
Ormondo. Giace alfin fra gli estinti il re Ruggiero,
Ciascuno il successor spera in Enrico.
Voi duce suo, voi suo custode e padre,
Concedetelo ormai.
Leonzio. Ma di don Pietro,
Suo minore germano, abbiamo noi
Nulla a temer? Torbido sempre e altero
Questo prence mostrossi. Or perchè viene
- ↑ Bett.: Adunque.
- ↑ Bett.: Facile alle lusinghe, e molle troppo — D’Amor soverchio. No: non sarà mai ecc.
- ↑ Bett.: Che s’arischi (sic) d’un Re la dubbia sorte.
- ↑ Nel testo: Quando che.
- ↑ Bett.: Non si risparmi, -— Quando giovi, l’inganno. Alfine Enrico — Ritornerà in se stesso. Alfin di lode — Degna sarà la Fede mia, comunque — Spiacevole or gli sembri e non secondi — La sua cieca passion. Ma viene Ormondo ecc.