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ENRICO 523

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Enrico.   Quest’è la pace,

Con cui dai labbro mio?...
Costanza.   Lice con l’arte
Dell’arte trionfar. Voi m’ingannaste
Affetto[1] simulando: io simulando
Lo sdegno, v’ingannai. Faccia ora l’odio
Le veci dell’amor. Seguite voi
Ad abborrirmi, ed io comincio adesso
Ad odiarvi per sempre. Il regal serto[2]
Procurate usurparmi; io vendicarlo
Procurerò. Vedrem chi ha più potere,
Vedrem se più varrà l’arte d’un empio,
O di femmina offesa il giusto sdegno.
(entra nel suo appartamento

SCENA V.

Enrico, poi Leonzio dall’appartamento reale.

Enrico. Nello stato in cui son, poco spavento

Mi fa costei. Più di Matilde l’ira
Temo che di Costanza. Ah potess’io
Quella placar! Ma fin nelle sue stanze
La troverò. Mi getterò a’ suoi piedi:
Spargerò, se fia d’uopo, il sangue ancora
Per accertarla della mia costanza.
Ma che prò, se l’ingrata è già d’altrui?
Se già sposa è d’Ormondo? Eh tutto lice
Ad un Re amante. L’ira sua si plachi,
Poscia nell’amor suo tutto confido.
Leonzio. Temerari, a Leonzio è chiuso il varco? (sforza le guardie, e passa
Enrico. (Ah mi difesi invan dall’importuno!)

  1. Nella ed. Zatta: affatto.
  2. Bett.: trono.
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