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546 ATTO QUINTO

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Matilde.   Giusta è la brama.

Eccovi il seno mio. (s'accosta ad Ormondo
Enrico.   Stelle! che fate? (trattenendola
Matilde. Io faccio il mio dover. Non è il mio cuore,
Barbaro, qual è il vostro. Egli è il mio sposo.
Questa tarda pietade è a lui dovuta.
(accostandosi ad Ormondo
Enrico. Divideteli, o guardie; e il moribondo
Guidate altrove ad esalar lo spirto[1].
Ormondo. Barbaro usurpator dell’altrui sposa[2],
Il ciel farà le giuste mie vendette.
Sì, crudel, perirai...
(Vien condotto via dalle guardie per la porta comune.
Matilde.   Seguirlo almeno
Potessi anch’io! Deh per pietade, Enrico,
Questo non mi negate ultimo dono.
Deh lasciate ch’io stessa all’infelice
Possa con le mie man chiuder i lumi.
Enrico. Un odiato don voi mi chiedete.
Io non vel do... crudel... v’amo... vorreste?...[3]

SCENA VII.

Leonzio dalla porta comune, e detti.

Leonzio. Oh spettacolo orrendo! Oh Re crudele!

E tu, figlia, che fai presso il tiranno,
Quando muore il tuo sposo? Oh mio rossore!
Oh perduta mia gloria! Oh figlia indegna!
Matilde. Padre, lo giuro al ciel, trattiene Enrico
A forza i passi miei. Crudel mi vieta
Di seguir il mio sposo. Ah, voi mi siate
Pietoso intercessor.

  1. Bett.: a terminar suoi giorni.
  2. Bett.: spose.
  3. Bett.: Importuna pietà voi mi chiedete. — Non vi lascio in balia d’un disperato.
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