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156 ATTO SECONDO

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Altro non ha di bello, che delle gioje al seno.

Ircana. Delle gemme non parlo; il viso?
Curcuma.   Scolorito.
Altro non ha di belio, che delle gemme in dito.
Ircana. Posso io dunque sperare, che Tamas la disprezzi?
Curcuma. Sì, quando egli le gemme non preferisca ai vezzi.
Ircana. Tamas gioje non cura.
Curcuma.   Ma sono belle assai.
Ircana. Di me parlotti forse?
Curcuma.9 Parlommi, e m’irritai.
Ircana. Che disseti l’audace?
Curcuma.   Ch’ella è la sposa, e voi
Dovete obbediente servire a’ cenni suoi.
Ircana. Tamas dov’è?
Curcuma.   Nol vidi.
Ircana.   Cercalo, o Cielo! io fremo.
Obbedirla? servirla? Curcuma, io sudo, io tremo.
Curcuma. Le dissi...
Ircana.   Eccolo: parti.
Curcuma.   Dissi che voi...
Ircana.   T’invola.
Curcuma. Voi siete la padrona...
Ircana.   Va via, lasciami sola.
Curcuma. Affé, se avrà il coraggio d’alzar la testa un poco...
Vo a porre in questo punto le pentoline al foco. parte

SCENA X.

Ircana, poi Tamas.

Ircana. Vedrem sin dove arriva l’amore, o la incostanza[1]

D’un cor che nel mio seno ebbe finor sua stanza.

  1. Ed. Zatta: costanza.
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