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162 ATTO TERZO

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Che a te, di me parlando, te esalta e me deprime;

E meco fa lo stesso, quando di te si esprime.
Ibraima. Prego di cuore il Cielo, che ami il padron la sposa.
E umiliata resti Ircana orgogliosa.
Zama. E vedasi costei, cui servitude è grave,
Al bagno ed alla mensa servir colle altre schiave.
Ibraima. Qual merto aver presume la lusinghiera astuta?
Ella è, quali noi siamo, schiava al signor venduta.
Zama. E ancor per poco prezzo. Machmut l’ebbe alle mani
Per cento mamoeède [G 1], che forman due tomani[G 2].
Ibraima. Per me ne hanno sborsato quattordici i meschini,
Che formano dugento gialli europei zecchini.
Zama. Io so ben[2] che Machmut, avido di comprarmi,
Saziar non si potea di soppiatto in mirarmi.
Parea lodar volesse in me qualche bellezza,
Ma il costume ti è noto: chi vuol comprar disprezza.
Vidi però, che all’uso di Persia contrattando,
Le man col padre mio sotto il manto celando [G 3],
Le punta delle dita, le dita or curve, or tese,
Tanto alternò, che alfine a dir basta, s’intese;
E con la mano aperta[3] che suol valer per cento,
Mostrossi il padre mio del prezzo esser contento.
Ibraima. Ma non aperse il pugno, che conta mille.
Zama.   Al fine
Noi siam Circasse, e siamo del più colto confine.
E Ircana non è degna nè men di starci a fronte.
Ibraima. E soffrirem da lei busse, minaccie ed onte?
Affé, se mi ci metto...

  1. Moneta persiana che corrisponde al valore di un ducato veneziano corrente, col valore antico di lire sei, e soldi quattro per ducato.
  2. Somma ideale di moneta usata in Persia, che corrisponde a ducati cinquanta Veneziani suddetti.[1]
  3. Maniera usata di contrattare in Persia, specialmente nei pubblici mercati, onde resti segreto fra contraenti il prezzo.
  1. Nelle varie edizioni goldoniane è stampato Jomani, ma deve leggerai Tomani, come nella scena ultima.
  2. Così corregge l’ed. Pasquali. Nelle edd. Pitteri e Zatta leggesi: Io so che ecc.
  3. Ed. Pitteri: apperta; e più sotto: apperse.
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