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GIUSTINO 23

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Servendo al suo signor, canuta e lassa,

Per sè grazia non merta e non la chiede.
Ma deh! riserba[1] queste piante, erette [2]
Perchè da’ rai del sol fosser difese
Colè dentro le fiere.
Amanzio.   Olà, eseguite. (ai guastatori
L’orator delle fiere io non ascolto. (troncano gli alberi[3]
Ergasto. (Oh superbia inaudita! ei non mi degna
D’un accento, d’un guardo).
Amanzio.   Ah! potess’io[4]
Eufemia rinvenir![5] Ella non lungi
Esser dovria. Qui la lasciaro i miei
Servi codardi. Ah! chi [6] sarà quel prode,
Che involò all’amor mio la cara preda?
Sempre non fuggirà. Due son gli acquisti,
A’ quali aspira questo core. Eufemia
Sospiro, è ver, ma più mi cal di questo
Augusto trono. A conseguir entrambi
Forse non tarderò. Di me si fida
Anastasio; già[7] il popolo non l’ama.
Profittarne[8] saprò. Toglier dal trono
Chi è indegno di regnar, non è delitto.
(s’inoltra nel boschetto coi guastatori

SCENA IV.

Ergasto solo.

Or sarete contenti. Ecco distrutto

Il mio povero albergo. Ecco atterrato
Il diletto mio bosco. Oh dei! [9] s’inoltra
La turba ostile. Ahi che [10] al cerreto è giunta,

  1. Ms.: risserba.
  2. Ms.: errette.
  3. Ms.: gli guastatori troncano gl’alberi.
  4. Ms.: Ah potess’io.
  5. Ms.: rinvenire!
  6. Ms.: Ah chi ecc.
  7. Ms.: Anastasio; il popolo ecc.
  8. Ms.: profittarne.
  9. Ms.: O Dei!
  10. Ms.: Ah che ecc.
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