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284 ATTO QUARTO

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La bile mi fé’ dire di voi quel che non è;

Ma dopo che ho veduto il foglio che mandaste,
Ho benedetto il punto che alla cittade andaste.
Tutto è vero, verissimo, ciò che in quel foglio è scritto:
Zilia lo vide, e ha il cuore di gelosia trafitto[1].
TestÈ la ritrovai nel bosco a pianger sola.
Aza confuso resta, non dice una parola.
Onde sperar possiamo a Deterville conforto,
E voi ne avrete il merto, voi diligente e accorto.
Rigadon. Io son chi sono alfine, e voi ve ne abusate.
Penso al ben della casa, e voi mi strapazzate.
Cellina. Ma non parliam di questo; parliam di quel che preme.
A terminar la cosa consigliamoci insieme.
Rigadon. Dicon che Deterville condanni il foglio anch’esso.
Cellina. A Zilia nelle mani lo fe’ passare ei stesso;
Dunque non lo condanna, ma nel vederla afflitta
Maledice talora la carta e chi l’ha scritta.
Rigadon. E in ogni circostanza, e in tutte le occasioni,
A me scarica ognuno le sue maledizioni.
Cellina. Questa volta, credete...
Rigadon.   Eh! questa volta io spero
Farla come va fatta. Vuo’ vincerla davvero.
Ho un decreto in saccoccia, ho un forastier con me.
Ho protezion d’amici, ho l’intenzion del re.
E poi un segretino io so dei Peruviani,
Che se sposar si vogliono, dovranno andar lontani.
Basta, non vuo’ dir nulla.
Cellina.   A me dir si potrà.
Rigadon. Certo, se a voi Lo dico, nessuno lo saprà! (con ironia
Cellina. Non si saprà, lo giuro.
Rigadon.   Voi siete la prudente.
Cellina. Voglio che me lo dite[2]
Rigadon.   Non voglio dirvi niente, parte

  1. Ed. Pitteri: traFfitto.
  2. Così nelle edd. Pitteri e Pasquali. Nella ristampa torinese e nell’ed. Zatta: che mel diciate.
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