< Pagina:Goldoni - Opere complete, Venezia 1927, XXIV.djvu
Questa pagina è stata trascritta e formattata, ma deve essere riletta.

GIUSTINO 25

[[Categoria:Pagine che usano RigaIntestazione|Goldoni - Opere complete, Venezia 1927, XXIV.djvu{{padleft:29|3|0]]

Eufemia.   Fermate. A me, Giustino, (si pone in mezzo

Rendi tosto il mio ferro.
Giustino. Ah! lascia [1] prima,
Ch’io l’immerga nel sen di que’ ribaldi.
Amanzio. Cosìri parli di me? Non sai ch’io sono
Duce primier dell’armi greche?
Giustino.   Io parlo
Con chi vuoi insultar la principessa.
Amanzio. Difenderla vogl’io, non insultarla.
Giustino. Difenderla dovevi allor che armati
La inseguian gli assassini [2]; or non ha d’uopo
Dell’armi tue.
Eufemia.   Giustin, rendimi il brando;
Obbedisci al mio cenno.
Giustino.   Eccolo. (Un giorno
Vendicarmi saprò di quel superbo.
Temerario mi disse; io mel rammento). da si
Amanzio. Olà, colui s’arresti e sia fra ceppi
Riserbato a’ miei cenni.
Giustino.   Ah! principessa[3],
Udisti? O mi difendi, o damm’il ferro[4].
Eufemia. Non fia mai ver che oltraggi[5]
Chi a me serbò la vita.
Amanzio.   A te donarlo
Forse saprò: ma qual potrò mercede
Da te sperar?
Giustino.   Odi, se la mia vita (ad Eufemia
Ti dovesse costar una scintilla
D’amor per lui che del tuo amor[6] è indegno,
Pria morirò che rimirar macchiato
Con affetto sì indegno il tuo bel core.

  1. Ms.: Ah lascia.
  2. Ms.: L’inseguian gl’assassini.
  3. Ms.: Ah Principessa.
  4. Ms.: o dammi il ferro.
  5. Nell’ed. Zatta c’è qui un verso settenario. Nell’autografo goldoniano leggesi: Amanzio, non fia cor che oltraggio recchi — A chi deggio la vita.
  6. Ms.: amore.
Questa voce è stata pubblicata da Wikisource. Il testo è rilasciato in base alla licenza Creative Commons Attribuzione-Condividi allo stesso modo. Potrebbero essere applicate clausole aggiuntive per i file multimediali.