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286 ATTO QUARTO

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Deterville. Noto, per quel ch’io sento, v’è del cuor suo l’arcano.

Zulmira. Interpretar suoi moti non mi lusingo in vano.
Deterville. Deh non vi spiaccia il vero svelarmi: Aza v’adora?
Zulmira. Che mi ami io mi lusingo, ma non mel disse ancora.
Deterville. Perchè, s’egli vi amasse, celar le fiamme in petto?
Zulmira. Per soggezion di Zilia ch’è il suo primiero affetto.
Deterville. Di lei, qual si credeva, amante or non si vede.
Zulmira. Or per desio non l’ama; ma per costanza e fede.
Deterville. Par che veggiate in lui, come in cristallo il cuore.
Zulmira. Il di lui cor conosco, e mi fe’ scaltra amore.
Deh piacciavi, signore, udir labbro sincero;
Poi fatemi giustizia, s’io non m’appongo al vero.
Allor che fu da’ nostri Zilia al Perù rapita,
Aza per riacquistarla volle arrischiar la vita.
E più guerrieri uniti, e armato più d’un legno,
Corse veloce in mare, pien di feroce sdegno.
Non vi dirò se l’onda spumasse o non spumasse,
Che termini cotali[1] non son per la mia classe;
Ma so che cogl’Ispani venne a battaglia a un tratto,
Fu combattuto e vinto, e prigionier fu fatto.
Alla sua patria alfine il padre mio sen viene,
Aza che fu sua preda, guida fra sue catene.
Ma tanto l’ama e tanto il grado suo rispetta,
Che trattalo qual figlio, e in casa lo ricetta.
Zilia, che dei Francesi seppe in poter venuta,
Credea con fondamento per sempre aver perduta.
Fra le sue pene intenta a consolarlo er’io,
Ma a lui rendeva il cuore, e si perdeva il mio.
Piango, sospiro, e taccio. Alfine ei se ne avvede;
Fissa in me gli occhi, e i miei gli chiedono mercede.
Spesso più dell’usato a me d’intorno il vedo,
Parlar più dolce il sento, se di parlargli io chiedo.
Lascia che lungamente più dell’usato il miri,
E par che si compiaccia troncare i miei sospiri.

  1. Nella rist. torinese e nell’ed. Zatta: siffatti.
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