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GIUSTINO | 33 |
[[Categoria:Pagine che usano RigaIntestazione|Goldoni - Opere complete, Venezia 1927, XXIV.djvu{{padleft:37|3|0]]
Quelle d’un vil pastor[1]. Il mio Giustino
Non è che un’opra più perfetta e bella
Di provvida natura, il cui potere
Lo stesso è nelle reggie e nelle selve.
Oh! come [2] a tempo tornami alla mente
Parte di ciò che avidamente appresi
Delle sublimi e delle occulte cose!
Sovvienimi ancor che due diversi oggetti
Forza occulta congiunge, ed ecco in noi
Una prova di questa violenta
Forza d’amor soave. Appena il vidi,
Di lui m’accesi, e par mi ben ch’anch’esso[3]
Si accendesse di me. Come ciò darsi
Potria senza un interno egual principio
Che ad amar ci spronasse? Oh! sorte ingrata,
Non ci tradir! Non disunir due cori
Dall’amore congiunti! E tu[4], gran Nume,
Tu ch’oprasti[5] il prodigio, i nostri affetti
Serba, feconda, e ne concedi il frutto.
Fine dell’Atto Primo.