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388 ATTO QUARTO

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Soffrir i torti nostri parmi viltà: de’ miei,

Se qui giunte non foste, vendicata m’avrei.
Parto, l’ira sospendo, ma non la spegno in petto;
Ecco in femminee vesti, ecco il vostro diletto.
Se anime vili siete, soffritelo con pace:
Io non ho cor che vaglia a tollerar l’audace. parte
Ircana. Deh pietà, non isdegno contro una sventurata.
Kiskia. (Ho i rossori sul viso). da sè
Marliotta.   (Son ben mortificata), da sè
Creona. Oh che bel pezzo d’uomo! Che nobile presenza!
Alle signore spose faccio umil riverenza. parte
Marliotta. Compatite, signora, in me la gioventù. (ad Ircana
(Con quei che non han barba, non me ne intrico più).
(da sè, e parte
Ircana. Colpa non ho, se a forza fui con voi menzognera.
Kiskia. Dite fra voi e me: questa cosa è poi vera?
Ancora non lo credo. Ditelo in confidenza:
Siet’uomo, o siete donna?
Ircana.   Donna son io.
Kiskia.   Pazienza.
parte
Ircana. Escasi di sotterra, e non s’attenda in pace
I sforzi replicati d’una nemica audace;
Che se andò questa fiata errato il fier disegno,
Può ritentar le trame il suo perfido sdegno.
Sorte, non hai finito d’ingiuriarmi ancora?
Vuol[1] che tormenti Ircana, vuol il destin ch’io mora.
Venga Tamas, mi dica: tutto di te son io;
Possa una volta dirgli: Tamas, alfin sei mio.
Poi di morir m’eleggo; ch’è meglio un vero bene
Goder in brevi giorni, che lunga vita in pene. parte


Fine dell’Atto Quarto.


  1. Edd. Pitteri e Pasquali: Vuoi.
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