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ATTO SECONDO

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Qual mi finsi, non sono, e tal mi finsi

Per sottrar dal periglio il mio signore.
In cui guidollo sconsigliato affetto.
Non pavento il morir; ma non vogl’io
La fama del mio re macchiar morendo
Col suo bel nome in fronte. Or che di questo
Spogliato io son, e che [1] al signor la vita
Cautamente serbai, moro[2] contento.[3]
Svenami, se lo brami, eccoti il petto.
Giustino. Alma sì generosa io non credei
Fra ribelli trovar. No, non è degno
Vitaliano di te. Vivi, e rammenta
Ch’è mio don la tua vita. Io non son vago
Dell’altrui sangue[4], e molto men di quello
Che racchiude un eroe dentro le vene.
Ah! dov’è Vitaliano? Il petto indegno
Passar vorrei con questo ferro. Ah l’empio
Mi fuggì; si nascose. A lui ritorna:
Digli ch’io son Giustino; ch’io nel campo
Lo cercherò; che tema il mio valore;
E se del mio valor ti ricercasse.
Dir gli potrai che il conoscesti a prova. parte
Polimante. Piò del valor la tua virtude estimo[5];
Donar la vita è un’opra che i mortali
Uguali fa [6] nella clemenza ai Numi.


Fine dell’Atto Secondo.


  1. Ms.: Spogliato i’ son, che ecc.
  2. Ms.: morrò.
  3. Nel ms. c’è punto e virgola.
  4. Seguivano nel ms. queste parole, cassate poi dall’autore: e la virtude apprezzo.
  5. Ms.: Ma più del tuo valor tua virtù estimo.
  6. Ms.: Uguagliar può.
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