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ATTO QUARTO |
[[Categoria:Pagine che usano RigaIntestazione|Goldoni - Opere complete, Venezia 1927, XXIV.djvu{{padleft:78|3|0]]
Divenne e sconoscente, onde ha potuto
Lo stesso suo benefattor tradire.
Offese l’onor mio; colpa ch’esige[1]
Il più fiero castigo, e tutta impegna
La mia giustizia. Egli di morte è degno.
Ma per quel che per noi pugnando ei fece,
Perda le luci della vita in cambio.
Itene, e alcun di voi vada, e l’odiato
Infame traditor, l’empio Giustino, [2]
Strascinar faccia al suo supplizio. Io voglio
Ch’ei non rivegga il novo sole. Udiste
Il cenno mio? [3] Voi l’eseguite, o fidi.
(Partono gli uffiziali[4] con alcuni soldati da una [5], ed il resto marcia in altra parte, restando poche guardie con Anastasio.
Qual destino sovrasta a questo d’Asia
Temuto impero? Egli rapita spoglia
Fu sempre mai. Sol colle stragi e il sangue
Cinsero sempre il sacro augusto alloro
I Cesari d’Oriente. Costantino,
Che il primo fu che in due l’unico impero
Divise ai figli suoi, di sangue asperse
Il cammino[6] che guida al trono eccelso.
E che non fero i successor rapaci
Per stabilir su le odiate fronti
Il vacillante alloro? E spose e figli
E capitani valorosi e amici
Sagrificaro all’ambizion del trono
Per un lieve sospetto. Io che di Grecia
Al soglio ascesi non voluto, e forse
Odiato, aborrito [7] e che la sorte,