Questa pagina è stata trascritta e formattata, ma deve essere riletta. |
ATTO QUARTO |
[[Categoria:Pagine che usano RigaIntestazione|Goldoni - Opere complete, Venezia 1927, XXIV.djvu{{padleft:80|3|0]]
Tu, suora d’Anastasio, dell’Augusto
Di Grecia Imperator, tu d’un bifolco [1]
Amante dichiararti?
Eufemia. Ancor nol dissi;
Ma poiché si pretende [2] anco gli arcani
Penetrar del cor mio; poiché si tenta
Trarmi il vero dal labbro, il ver non celo.
Amo Giustino; egli d’amore è degno.
Anastasio. Così ardita mi parli?
Eufemia. Sì; e mi vanto
D’un amore sì degno. Ha ben Giustino
In un sol giorno superato e vinto
Chiunque ha la gloria a mendicar dagli avi [3]
Anastasio. (Le lodi di Giusdn sono al cor mio
Pungenti strali. Perirà l’udace).
Eufemia. Ma dopo il lungo faticar in due
Perigliose battaglie, ancor, germano,
Nieghi alle membra tue quiete e posa?[4]
Che fai qui ad onta dell’orrendo aspetto
Di questa sera tenebrosa e oscura?
Ah che la mente tua sconvolge[5] e turba
L’arte de’ tuoi nemici! Hanno saputo
Gl’invidiosi omai nel tuo bel core
Rei sospetti introdur del tuo Giustino.
Credilo, egli è[6] innocente.
Anastasio. E tale anch’io
Ad onta lo credei d’incerte accuse[7] .
Ora non più, che de’ suoi turpi eccessi
Testimonio son io.[8]
Eufemia. Stelle! Qual colpa
L’eroe commise?
Anastasio. Inorridisci. L’empio
.