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ATTO QUARTO

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Deh! Augusta, qual cagion, benché innocente,

Al sospetto porgesti?
Arianna.   Eccola. Io venni
Dalla pugna ferita; al suol prostesa,
Semiviva, svenuta, ingorda tigre
Lacerar mi volea [1]; il buon Giustino
Mi difendè [2]; la belva ardito uccise;
Medicò le mie piaghe, indi dal suolo
Sollevommi, aitommi [3], e su la destra
Qual suddito fedel m’impresse un bacio,
E involossi da me. Se questa è colpa,
Dillo tu stessa. Ah! che il crudel mio sposo
Troppo ingrato è[4] al mio amor! Sa l’inumano
Ciò ch’io feci per lui. Più non rammenta,
Ch’ei sol per mia cagion... Ah! che in pensarlo,
E dall’ingrato cor mirar negletta
L’opera del mio amor, m’empie d’orrore.
Mi fa morir!
Eufemia.   Siamo traditi. Augusta,
E Amanzio è il traditor.
Arianna.   D’Amanzio appunto
Pel campo intesi a mormorar. Si dice
Ch’egli di nova ribellion sia capo.
Manca egli sol fra tanti duci, e manca
Un numero d’armati ch’eran d’esso
I più fidi seguaci. Ad Anastasio
Che nulla sa, la fatal nuova io stessa
Qui venni ad arrecar [5], ma quel crudele
Ricusò di vedermi.
Eufemia.   Ah! gli prepara
Il Cielo il suo castigo. Ora opportuno
Saria Giustino. Andiam. Cesare sappia

  1. Ms.: voleva.
  2. Ms.: difende; e poi uccide e medica.
  3. Ms.: Mi solleva, m’aita; e poi m’imprime e s’invola.
  4. Ms.: è ingrato.
  5. Ms.: arreccar; e poi riccusò.
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