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prefazione. | cvii |
[[Categoria:Pagine che usano RigaIntestazione|Gozzi - Le fiabe. 1, 1884.djvu{{padleft:125|3|0]]se si trattasse d’un sogno e che «se il buon gusto vegliasse sempre alla porta eburnea dei sogni, per costringerli a forme prestabilite, ben di rado essi colpirebbero la nostra immaginazione.[1]» Ma è più vero ancora ciò che poco innanzi avea detto la stessa Signora di Staël (parlando delle streghe del Faust): «I limiti sono difese. La vaghezza delle invenzioni soltanto può salvare il fantastico, nel quale l’unione del bizzarro e del mediocre non potrebb’essere tollerata.[2]» Peccato, che non sempre il Gozzi potè sfuggire e che appunto al momento di far rappresentare il Mostro Turchino pare che avesse già messo il pubblico in qualche diffidenza e sfiduciato un poco il poeta dell’opera sua. Nella Prefazione si mostra assalito quasi dal dubbio d’essere andato tropp’oltre e malcontento di dover continuare, costretto dallo zelo dei partigiani e dalle esigenze dei Comici. Le critiche cominciavano ad assalirlo. «Bilanciai molto, scrive il Gozzi, per la soggezione in cui m’avevano posto i colti ed acuti miei giudici.... e confesserò che il rispetto e il timore, che io ho del pubblico, mi fece costar questa fiaba una fatica non conveniente al suo ridicolo titolo di Mostro Turchino.[3]» La gestazione fu lunga, faticosa, piena d’incertezze (perciò forse questa fiaba fu comunicata al Ba-