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prefazione. | cix |
[[Categoria:Pagine che usano RigaIntestazione|Gozzi - Le fiabe. 1, 1884.djvu{{padleft:127|3|0]]mette nella bocca a Zelou (quasi il poeta antiveda le troppo rapide vicende della sua fama) questa singolare profezia:
Tempo verrà, che le trasformazioni,
Ch’io son per cagionar, servir potranno
D’allegorici casi, e i sprezzatori
Mostri saranno, com’io son, cercando
Di trasformar sè stessi in nuovo aspetto
Grato nel mondo, trasformando altrui.
Se mai potranno, in abborriii mostri.[1]
Lo stranissimo argomento di questa fiaba è però svolto e condotto con abilità magistrale, e se il Gozzi osò qualche volta vantarsi inspirato dall’esempio del Boiardo, dell’Ariosto e del Tasso nel ritornare, che fa, agli «impossibili e mirabili avvenimenti[2]» dei poemi cavallereschi ed eroici, qui oltre ad atteggiare un eroe, che per amore o per espiare colpe sue o d’altri deve affrontare imprese di straordinaria temerità (fondo comune delle fiabe popolari in genere e di quelle del Gozzi in particolare), qui, con vera efficacia satirica e comica, contrappone all’ideale cavalleresco l’egoismo filosofico moderno.[3]
Le ultime due Fiabe del Gozzi furono L’Augellino Belverde, rappresentata il 19 Gennaio 1765,