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prefazione. | xi |
[[Categoria:Pagine che usano RigaIntestazione|Gozzi - Le fiabe. 1, 1884.djvu{{padleft:29|3|0]]dell’uomo, non così schietto e buono, com’egli volle dipingere sè stesso e parecchi lo credettero, nè così tristo, come pretese con grande esagerazione il Tommaseo, che lo disse vile, ipocrita, ignobile in ogni cosa.[1] Gli stranieri, non distinguendo bene i varii ordini della nobiltà Veneta, lo titolano per lo più Patrizio Veneziano, ma non era.[2] Al patriziato Veneziano teneva soltanto dal lato della madre, una Tiepolo. Dal lato del padre era cittadino originario di Venezia, ma di nobiltà provinciale. Allorchè fu in età di attendere agli studi, lo scompiglio economico di casa Gozzi (che fu poi la tribolazione di tutta la sua vita) era già incominciato, cosicchè Carlo tu di que’ fanciulli infelici, venuti tardi in una famiglia numerosissima e già declinante (era il sesto di undici fratelli), i quali sono abbandonati a sè stessi o confidati al primo capitato. Ma poesia e debiti, letterati ed usurai, ecco tutto l’interno di casa Gozzi a quel tempo, a «Un ospedale di poeti» la definisce Carlo[3] e vuol dire a un dipresso un ospedale di matti. Anche il taciturno e selvatico fanciullo fu dunque ben presto invasato dal furore febèo di tutta la famiglia, nella quale si teneva «una gior-