Questa pagina è stata trascritta e formattata, ma deve essere riletta. |
xxvi | prefazione. |
[[Categoria:Pagine che usano RigaIntestazione|Gozzi - Le fiabe. 1, 1884.djvu{{padleft:44|3|0]]Tornato a Venezia, in compagnia dell’amico Innocenzo Massimo, pareva che il cuore gli predicesse qualche nuovo guaio. L’aspetto della sua bella casa paterna era ai di fuori sempre quello, ma batti e ribatti, nessuno apriva. Era come «picchiare ad una sepoltura.[1]» Finalmente una vecchia serva venne ad aprire.... Ahimè! Che interno di casa! che contrasto fra l’antico lusso e la presente ruina! I pavimenti solcati e sconnessi, le finestre coi vetri rotti, le tappezzerie stracciate e cascanti a pezzi. La galleria dei quadri era scomparsa. I ritratti degli antenati non aveano ancora preso il volo, ma colla guardatura mesta e seguace parevano chieder ragione anche al tornato nipote di tutto quello squallore; il quale altro non era che il risultamento combinato dell’astrazione filosofica del Conte Gaspare e della «pindarica amministrazione[2]» della pastorella Arcade, sua moglie. Carlo e l’amico Massimo stavano lì, guardandosi l’un l’altro, come trasognati, allorchè il Conte Gaspare capitò, e mezzo tra dolente e sopra pensieri narrò al fratello che la famiglia se n’era andata nella villa del Friuli, che tra i debiti, le liti e le usure sfumavano le reliquie del patrimonio, che le sorelle, in età da marito, strillavano per la dote, che il padre era sempre paralitico e muto, che la casa era tutta a soqquadro;