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lii prefazione.

[[Categoria:Pagine che usano RigaIntestazione|Gozzi - Le fiabe. 1, 1884.djvu{{padleft:70|3|0]]Contro il suo solito il Goldoni non potè contenersi e rispose:

Ho veduta stampata una Tartana
  Piena di versi rancidi sciapiti,
  Versi da spaventare una befana,
Versi dal saggio inaitator conditi
  Col sale acuto della maldicenza,
  Piena di falsi sentimenti arditi;
Ma conceder si può questa licenza
  A chi in collera va colla fortuna.
  Che per lui non ha molta compiacenza.
Chi dice mal senza ragione alcuna,
  Chi non prova gli assunti e gli argomenti
  Fa come il can che abbaia alla luna.[1]

Il Gozzi, vedendo così raccolto il guanto dal Goldoni, si eccitò alla lotta sempre più. Dipingeva il Goldoni come disperato di quell’assalto:

Stassi il Dottor sdraiato e strappa e sbrana,
  E scaglia il parruccon sul pavimento,
  Poi grida: Aceto, io vado in sfinimento,
  Che non posso patir quella Tartana.[2]

  1. Biblioteca Marciana di Venezia. Codice 337, Classe IX. Terzine del Goldoni all’Avvocato Alcaini. Le pubblicò già il Magrini nell’Opera cit. Questa poesia, scritta in occasione che S. E. Bastian Venier tornava dal reggimento di Bergamo è pubblicata nella raccolta fatta dal Goldoni delle sue Poesie, Edlizione Pasquali, Venezia, 1764, ma il passo relativo alla Tartana è soppresso. Esempio di nobiltà d’animo, che il Gozzi non imitò.
  2. Carlo Gozzi. Opere, Edìz. cit. Tom. VIII, pag. 181.
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