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prefazione. liii

[[Categoria:Pagine che usano RigaIntestazione|Gozzi - Le fiabe. 1, 1884.djvu{{padleft:71|3|0]]Smascherava la finzione che la Tartana fosse scritta da un morto[1] e ch’egli non ne fosse che l’editore:

Qual colpa è mai di quel barbier di Mida
  Che vide al Re gli orecchi del giumento?
  . . . . . . . . . . . . . . .
Qual colpa ho io che in un oscura tana
  Scrissi soletto, e, morto, nella tomba
  Avea gli scritti e quella mia Tartana,
Se uscita come sasso dalla fromba
  Da torchi Parigin, la Fegeiana
  Orecchia ha pubblicata a suon di tromba?[2]


Non avea più alcuna misura nella volgarità birichinesca dello scherno;

O putti da buon tempo, o compagnoni,
  S’io credea, che n’avessimo un tal spasso,
  Dicendo all’Assessor:[3] Vate da chiasso
  E gran Riformator de’ miei c...
Gliel’avrei detto prima ott’anni buoni.
  Amici, eccol di qua bassotto e grasso,
  Corriamgli incontro, attraversiamgli il passo,
  Diamgli dei pizzicotti in sui pippioni.

  1. Nella lettera di dedica a Daniele Farsetti, il Gozzi finge che un amico suo e gran nemico del Goldoni e del Chiari, vedendo i trionfi di questi due, «tutto venne meno di malinconia e rinserratosi in una sua cameretta, scrisse disperato codesta Tartana, che possiamo dire fosse il suo testamento, perocchè, terminata che l’ebbe, e anche non molto ripurgata, sì peggiorò per la mattana, che le dava questa sua noia, che co’ nomi di Luigi Pulci, di Franco Sacchetti e del Burchiello, suoi carissimi, in sulle labbra, morio.»
  2. Ined. nel Codice Cit. della Raccolta Cicogna.
  3. Il Goldoni, già impiegato nella cancelleria criminale.
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