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lxii | prefazione. |
[[Categoria:Pagine che usano RigaIntestazione|Gozzi - Le fiabe. 1, 1884.djvu{{padleft:80|3|0]]
Del resto loda e biasma chi ti pare
Ch’io non t’apprezzo.....
Quando s’ha a far a’ pugni, a’ cocci e a’ sassi,
Della plebaglia allor gran conto fassi.[1]
Anche chi non soffre di gran tenerumi democratici troverà incivile tutto questo disprezzo. Ma in Carlo Gozzi è significantissimo dell’indole sua e dei principii che professava, e fa un po’ riscontro al contegno di quei nobili, così finamente castigato da Gaspare Gozzi nella Gazzetta, che dai palchetti del san Luca sputavano in platea, prendendo i cittadini, che vi sedevano, per altrettante «iscodelle da sputarvi dentro.»[2]
Notevole è pure la Marfisa Bizzarra, poema faceto che il Gamba molto inesattamente paragonò alla Secchia Rapita e al Ricciardetto, il Morelli con evidente esagerazione chiamò «un modello perfetto,»[3] ma di cui il Tommaseo, benchè severissimo al Gozzi, lodò giustamente «i sali vivaci e la franca dicitura.[4]» Aggiunse però che non ha «nè caratteri, nè disegno;» critica, che non mi sembra giusta. La Marfisa è una satira, non un poema. I caratteri sono caricature e non vi fosse che quella di Marfisa, modellata