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prefazione. | lxiii |
[[Categoria:Pagine che usano RigaIntestazione|Gozzi - Le fiabe. 1, 1884.djvu{{padleft:81|3|0]]sulle eroine del Chiari, basterebbe a far prova della potenza satirica e della burlesca originalità dell’ingegno del Gozzi. Il quale del resto col confuso e barocco disordine del suo stile e del suo linguaggio, talvolta così strambo, che bisogna intenderlo per discrezione, toglie troppo spesso ogni garbo e vaghezza e forza a ciò che scrive. Ma non si può negare che le sue salire maggiori, per invenzione, impostatura e congegno di composizione, sono singolarissime, e, se accoppiassero il pregio d’una forma viva e schietta, porrebbero giustamente il Gozzi non solo al di sopra dei maggiori satirici nostri, ma più specialmente accanto ai più celebri umoristi stranieri. Il Gozzi scrisse i primi dieci Canti della Marfisa, mentre fervevano aocora le sue lotte col Goldoni e col Chiari, e ne pubblicò molti saggi nei Fogli sopra alcune massime del Genio e Costumi del Secolo, operetta specialmente dedicata al Chiari ed al suo apostolo, Abate Placido Bordoni. Gli ultimi due canti scrisse molti anni dopo, quando cioè stampò il poema,[1] che tenne parecchio tempo nascosto, perchè satireggiando, oltre al Goldoni ed al Chiari, i costumi e le opinioni del proprio tempo, temeva forse di capitar male. Ripiglia il tema dai poemi cavallereschi e «dovrebbe essere superfluo avvertire (scrive nelle Annotazioni pubblicate dal Magrini e dal Malamani)
- ↑ Carlo Gozzi. Opere. Ediz. 1772 colla falsa data di Firenze. Tom. VII. — Prefazione scritta tra il dubbio, che sia necessaria, e il dubbio, che sia inconcludente.