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prefazione. lxxv

[[Categoria:Pagine che usano RigaIntestazione|Gozzi - Le fiabe. 1, 1884.djvu{{padleft:93|3|0]]Veneziano, sta morendo per indigestione di versi martelliani; Truffaldino, ossia la Commedia dell’Arte, è il solo che riesca a guarirlo, facendolo ridere, e tutta la lotta è tra il Mago e la Fata, l’uno che protegge, l’altra che perseguita il Principe;[1] la lotta durata tanto tempo fra il Goldoni ed il Chiari, i quali si strapazzano a vicenda sulla scena, l’uno in istile avvocatesco, l’altro in soprapindarico. Tutta questa parodia è in realtà potente ed ingegnosissima ed è essa, e non altro, che diede causa vinta al Gozzi. Ha ragione il Tommaseo, che questa fìaba del Gozi «è la più sua[2]» e così pure l’Ugoni, che gli rimprovera di non essersi sempre attenuto a questo genere, il più conveniente all’ingegno e all’umore di Carlo Gozzi.[3] In sostanza la commedia popolare, con cui intese opporsi al naturalismo del Goldoni e al romanzesco sentimentale del Chiari, non gli si ripresentò a tutta prima, se non sotto forma di commedia allegorica, e come continuazione sulla scena della polemica combattuta già cogli opuscoli, i sonetti e le satire. Col suo primo saggio non

  1. C’è in questo punto una contraddizione curiosa. Celio Mago, ossia il Goldoni, è il protettore di Truffaldino, ossia della Commedia dell’arte. Più curioso è che tale contraddizione è avvertita dallo stesso Gozzi, il quale non sa giustificarsene con alcuna buona ragione. Vedi a pag. 21 del presente volume.
  2. Storia Civile nella Letteraria. Pietro Chiari etc. p. 289.
  3. C. Ugoni, Della Letteratura Italiana nella seconda metà del secolo XVIII. Vol. 3. Art. 2.
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