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I Nibelunghi 267

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Lasciarlo in vita. A me, deh! che varrebbe
Se odiassi il prode? Egli era a noi fedele
E questo ei fea per volontà devota.
  E Ortwin da Metze valoroso: Oh! mai,
340Disse, mai non potrà la sua gran forza
Recargli aita. E se il mio re acconsente,
Ogni gran mal farò a Sifrido. — A lui
L’amistà disdicean senza ragione
I gagliardi così. Ma niuno in questo
345Pensiero seguitò, fuor che ad ogni ora
A Gunthero possente Hàgen consiglio
Ripetendo venìa, che se giacesse
Spento Sifrido, sottomesse a lui
Molte sarìan terre di prenci. Allora
350A corrucciarsi incominciava il prode.[1]
  Cotesto intanto abbandonâr. Fûr visti
A’ lor giochi guerreschi i valorosi,
E là, dinanzi al monastero, oh! quante
Aste forti d’eroi ruppersi intanto,
355Sotto agli occhi di lei, donna a Sifrido,

  1. Gunthero.
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