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278 I Nibelunghi

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E da quel dì, ne le battaglie sue,
Nessun’arma il ferisce.[1] Eppur son io
In gran temenza quand’ei sta fra l’armi
145E da la mano degli eroi continui
Volan gli strali, ch’io mi perda allora
L’uom che m’è caro. Deh! qual doglia grave
Ebb’io sovente per Sifrido! Intanto,
Con fiducioso cor, diletto amico,
150Poi che tu serbi a me questa tua fede,
Io ti dirò dove potrìa qualcuno
L’uom diletto ferirmi. E già cotesto
Intender ti farò; ciò per fidanza
Da me si fa. Come pertanto scorse
155Da le ferite del trafitto drago
Il caldo sangue e il prode ardimentoso
In quello si bagnò, caddegli un’ampia
Foglia di tiglio assai fra le due scapule,
Al medio punto. Là potrìa qualcuno
160Ferirlo, e m’è per ciò grave l’angoscia.

  1. Per questo drago, ucciso da Sifrido, vedi l’Avventura Terza e l’Introduzione al Poema.
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