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I Nibelunghi 527

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Scudo lucente. Volentieri io quello
290D’Ètzel vorrìa portarmi alle contrade.
  E la margravia, come udì cotesta
D’Hàgen parola, di sua acerba cura
Si ricordò. Bene le stava il pianto!
Chè troppo allora ella pensò la morte:
295Di Nuodungo;[1] e l’avea Witige un tempo
Ucciso in campo, ed ella aveasi fiero
Di lagrimar desìo. Darovvi, al prode
Ella rispose, quella targa. Iddio
Dal ciel volesse che anche fosse in vita
300Chi al braccio la portò! Ma spento cadde
Quello in battaglia, e però sempre è d’uopo
Ch’io sì ne pianga. A me, misera donna,
Di ciò sorviene alto bisogno! — E intanto
Dal seggio suo la nobile margravia
305Si mosse ed afferrò l’ampio pavese
Con sue mani bianchissime. Il recava
Ad Hàgene la donna, ed egli in mano
Sì lo prendea. Fu dato al cavaliero

  1. Figlio di Rüedgero e di Gotelinde.
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